Ho cominciato ad invitare la campana a sedici anni. Diciamo “invitare la campana” invece di “suonare” o “battere” perché la consideriamo un’amica e desideriamo invitare il suo suono nel nostro corpo. Invitare una campana a suonare è di per sé un modo semplice per rilassarsi. Quando sentiamo la campana, inspiriamo ed respiriamo lasciandoci penetrare da quel suono meraviglioso, tutto qui. Se non abbiamo una campana possiamo utilizzare un altro suono: lo squillo di un telefono, un aereo che ci passa sopra la testa, i rintocchi di una pendola, un suono programmato al computer o i suoni della natura intorno a noi. Possiamo usare persino il suono di un martello pneumatico o due un aspirapolvere. Rilassarsi in consapevolezza- Thich Nhat Hanh
L’esperienza che ho con la Campana Tibetana è di un’ amicizia nata lentamente e anche con diffidenza da parte mia. La Campana inizialmente non voleva incontrarmi, ossia non voleva suonare; a nulla valeva la postura, la posizione che potevo assumere oppure, la leggerezza della mano che potevo usare. Niente, la campana non voleva suonare con me e questo mi infastidiva molto..
Finalmente, sul punto di abbandonarla sopra il tavolino e usarla come contenitore per le caramelle, in mio aiuto è venuta la “maestra del suono”: la Presenza.
Un giorno, “per caso”, ho percepito che la Campana mi chiedeva una sola cosa, la presenza completa mentre compivo quell’atto di amicizia con lei.
Non poteva esserci nulla di più nella mia mente; né il prima, né il dopo, solo l’adesso.
Il suono dolce e prolungato mi ha ripagata della frustrazione provata nei vani tentativi di forzare qualcosa di prematuro. Ho sentito il suo suono, con le orecchie e con tutto il corpo; incontrandoci dentro uno spazio-tempo magico ho compreso che la Campana, come le relazioni, hanno bisogno di presenza.
Alla presenza come alla consapevolezza ci si può lavorare e si puo’ fare attraverso diverse strade, non si raggiunge una volta per tutte, piuttosto e’ un addestramento che dura tutta la vita.
Certo che quando accade, il tempo non esiste più, viene sospeso come in un grande caldo abbraccio.
Le parole sono suono e il suono, attraverso le vibrazioni che produce, si propaga nell’Universo, resta per sempre.
Abbi cura delle parole che usi.
Ogni settimana ti propongo un piccolo lavoro di Scrittura Creativa da usare come pratica di consapevolezza.
ESERCIZIO 1 Praticare la gentilezza; un nuovo vocabolario.
Ogni giorno ricerca almeno tre parole che secondo te esprimano sensazioni di GENTILEZZA. Scrivile sul quaderno e abbi cura di rileggerle a fine giornata (possibilmente ad alta voce).
Verifica se hai avuto modo di usarle nel tuo dialogo interno e annota una breve riflessione rispetto all’esercizio, un feedback su come è stato per te farlo.
Obiettivo: 📌Alla fine della settimana avrai realizzato un vocabolario personale di gentilezza.
📌Certamente avrai guadagnato del tempo per te.
📌Probabilmente avrai aggiornato alcune informazioni rispetto al tuo modo di sentire, comunicare e praticare rispetto alla gentilezza.
E tutto questo ti condurrà all’ESERCIZIO 2 che troverai sabato prossimo.
Se vuoi inviare sulla mia posta elettronica una riflessione finale del lavoro svolto, sarò felice di condividerla con te.
Rabbia, tristezza, gioia, paura, gratitudine, meraviglia, tutte emozioni che trovano posto nella nostra vita. Le emozioni vengono spesso suddivise in: buone o cattive, positive oppure negative, tuttavia questo è un modo di classificarle limitato e impreciso. Partiamo dal fatto che le emozioni sono come una bussola, che ne sarebbe del nostro cammino-vita senza una bussola che ci aiuta nell’orientamento?
“L’emozione è il momento in cui l’acciaio incontra la pietra e scocca la scintilla: l’emozione è infatti la fonte principale della presa di coscienza”. (Carl Gustav Jung)
Eppure, alcuni effetti delle emozioni, su noi stessi e/o su altre persone possono creare reazioni che le fanno giudicare negative e sbagliate.
Le emozioni hanno la funzione di chiarirci le idee, proteggerci dai pericoli, farci prendere decisioni. Ma anche portarci ad affrontare stress, conflitti, sofferenza fisica ed emotiva.
La parola emozione deriva dal latino exmovere o emovere, che significa o < smuovere>. Potremmo dire un movimento dell’animo in risposta a stimoli esterni oppure interni a noi. Da sempre esse svolgono un ruolo importante nell’evoluzione e nell’adattamento della specie umana all’ambiente.
Davanti ad un pericolo noi abbiamo le stesse reazioni dell’uomo primitivo. Il cuore batte forte, forte, alcuni muscoli si contraggono, il viso cambia espressione e abbiamo l’istinto di scappare. Inoltre influenzano l’attenzione e la visione del mondo. In una situazione di pericolo la nostra attenzione si concentra sul pericolo e talvolta non vediamo altro, restando paralizzati. Oppure, nel senso opposto quando la vita appare tutta rosa perché siamo felici.
L’emozione, allora, non è altro che una manifestazione fisica legata alla percezione di un evento che si manifesta nell’ambiente (esterno), o nel nostro spazio mentale (interno).
Le emozioni agiscono principalmente a tre livelli: pensieri, comportamenti, e relazioni.
Potrebbe risultare utile, allora, imparare a regolare le emozioni potenziando la propria Intelligenza Emotiva.
L’Intelligenza Emotiva permette, infatti, di vivere meglio le nostre emozioni e quelle degli altri, portando consapevolezza nei nostri stati d’animo e sulla nostra salute fisica.
Scrivere è raccoglimento e cura. Non è possibile scrivere e parlare nello stesso tempo, c’è bisogno di concentrazione, per far sì che le parole che sorgono siano quelle giuste, e ilraccoglimento ci permetterà di affinarle e depurarle del superfluo.E scrivere è anche attenzione contemplativa, in quanto la scrittura trae spunto da quanto abbiamo visto e vissuto. E’ quella pausa, quel respiro che pur in mezzo al frastuono, possiamo concederci se solo vi prestiamo attenzione. Fra un suono e un altro, fra una parola e l’altra, fra un’azione e l’altra possiamo trovarlo, difenderlo e custodirlo. E la scrittura in questo ci può aiutare, come stazione di posta, per trovare riposo e nutrimento, o come oasi nel deserto. E in questa accezione, il silenzio e la scrittura hanno molto in comune con la Mindfulness: Stare in ascolto, prestare attenzione a quello che sta succedendo in questo momento, semplicemente essere presenti. La scrittura quindi come occasione per “fare silenzio” dentro e intorno a noi, e trovare l’introspezione, l’attenzione, la cura che ci permetteranno di sviluppare le nostre capacità umane e incideranno sul nostro modo di stare al mondo. Attraverso il silenzio i sensi si fanno più acuti, più vigili e nello stesso tempo rilassati. E lascrittura congiurerà affinché sensi e silenzio si possano esprimere al meglio. E’ l’invito che fa Jon Kabat Zinn nel suo libro “Riprendere i sensi”.Soffermarsi a vedere, udire, toccare, annusare, gustare, con presenza e attenzione, con la mente del principiante, totalmente aperta all’esperienza, come se fossero suoni, colori, profumi, cose, che sperimentiamo per la prima volta, con curiosità e meraviglia, godendoci quel momento, quel luogo, quella situazione, semplicemente permettendoci di stare con tutto quello che c’è.
Spesso mi vengono poste queste domande: A che serve il Counseling? Che cosa si intende per ciclo di incontri? Quanto dura un percorso di Couseling?
Per rispondere uso le parole dell’Ass. Reico, associazione professionale di Counseling, a cui faccio riferimento per il mio lavoro.
Buona lettura
“I percorsi di Counseling possono essere sviluppati in vari contesti e con finalità anche e soprattutto formative e quindi non solo di sostegno individuale. L’orientamento esistenziale fornito da un percorso di Counseling mira a un potenziamento dell’autosviluppo di competenze e di abilità.
Un ciclo di Counseling, pur essendo una prestazione di carattere breve, mirata e circoscritta, non può essere quantificata aprioristicamente; gli incontri, generalmente a cadenza settimanale o quindicinale sono incentrati sullo sviluppo e sul raggiungimento dell’obiettivo di lavoro concordato tra Counselor e Cliente. Particolare importanza ricopre, nel Counseling, la stipula di un contratto di obiettivo, indispensabile per canalizzare l’attenzione consapevole sul cambiamento oggetto del contratto.”
Il Reiki è l’occasione di un cambiamento, è un nuovo modo per essere nel mondo.
Il Reiki fu riscoperto verso la metà del XIX secolo dal monaco giapponese Mikao Usui, insegnante in una piccola università cristiana di Kyoto. Il monaco dedicò la sua vita alla preghiera e al digiuno fino a raggiungere una “illuminazione” rispetto al dono del Reiki. Lo praticò e lo insegnò fino alla sua morte.
Mikao Usui era consapevole che non bastava guarire le malattie, perché gli uomini hanno bisogno di essere aiutati a instaurare un rapporto con se stessi, per favorire un aumento del loro livello di coscienza.
Era necessario insegnare loro la gratitudine e la riconoscenza per questo motivo Usui fissò semplici ma precise regole di vita:
“Non essere arrabbiato proprio oggi, non preoccuparti proprio oggi. Onora i tuoi maestri, i genitori, gli anziani. Guadagna il tuo pane in modo onesto. Sii grato nei confronti di tutto ciò che vive.”
Dal ghetto di Kioto, dove curava i mendicanti, iniziò a girare per la città con una fiaccola in mano, e a chi gli chiedeva spiegazioni rispondeva che stava cercando uomini disposti a guardare dentro se stessi, a iniziare un processo di conoscenza, di crescita attraverso la luce.
Reiki quindi non è solo una tecnica di canalizzazione dell’energia universale, è molto di più, è un percorso di auto consapevolezza e di cambiamento individuale.
“Reiki è una antichissimo sistema di guarigione naturale. Il termine è di origine giapponese e si compone di due sillabe: Rei e Ki. Ki descrive l’Energia o forza vitale di ogni organismo vivente, Rei ne indica l’aspetto unitario, globale, universale, il termine è quindi usualmente tradotto come “Energia vitale universale”. Reiki è l’arte di armonizzare e riportare nel giusto equilibrio l’energia individuale con quella universale.”
(tratto da: -Rei-Ki, energia d’amore tra le mani- Anastasia Miszczyszyn e Alessandra Masseglia)