La compassione.
Oggi pratica della compassione.
“Mi sono presa tempo.
Non amo stare nelle righe, nemmeno tra le date di scadenza, anche se a darle sono io.
Il ritmo serrato mi dà la nausea, le aspettative poi, non ne parliamo.
Mi sono presa tempo per respirare piano dentro una mascherina chirurgica, per imparare a riderci dentro, per ascoltare gli abbracci che mancano.
Mi sono presa un tempo per incontrarmi, che’ qualche volta mi perdo e a ritrovarmi faccio una fatica bestiale.
Mi sono presa il tempo del non fare e del non dire, di restare seduta dentro una scatola di cartone pressato, insieme a qualche vecchio ninnolo che mi fa compagnia per traslocare il cuore.
Mi sono presa il tempo della compassione;
lavarmi le mani, massaggiarle con cura, toccarle piano, guardarle tanto fino ad amarle.”
La parola compassione deriva dal latino cum patior – soffro con – e dal greco συμπἀθεια , sym patheia – “simpatia”, provare emozioni con. E’ un sentimento per il quale un individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui desiderando di alleviarla.
In senso più prossimo all’etimologia è il patire insieme.
La compassione è anche una delle quattro “dimore divine”.
Con il termine Brahmavihāra nel Buddhismo si indicano quattro qualità o stati mentali altamente desiderabili, detti i quattro incommensurabili o le quattro forme del vero amore.
Sono le quattro principali emozioni che vale la pena coltivare: la bontà o gentilezza amorevole, la gioia compartecipe, l’equanimità e appunto la compassione.
Compassione non è commiserare l’altro, compatirlo, averne pietà, tutti atteggiamenti che sottendono un giudizio, che tendono a mettere l’altro in una posizione di inferiorità rispetto a noi, ma è la capacità di vedere e comprendere la sofferenza dell’altro, di partecipare al dolore altrui.
In questo percorso di parole nuove che vibrano nel nostro corpo, quando ne facciamo esperienza, la compassione ha un posto importante soprattutto se la volgiamo verso noi stessi.
Hai mai osservato una foglia?
Lo hai fatto con la testa o con il cuore?
Hai mai guardato le tue mani, i tuoi piedi, i tuoi occhi?
Lo hai fatto con la testa o con il cuore?
L’esercizio che ti propongo questa settimana è proprio questo: guardarti con compassione.
Guardare ciò che sei con il cuore e non con la testa.
Trasforma il tuo vocabolario se e’ fatto di parole che suonano come un giudizio; su tutto quello che non va, che non ti piace, che non hai con parole compassionevoli verso l’unicità che sei.
Guardati con il cuore e non con la testa, vedrai nascere stupore.
Buon lavoro.
