
La solitudine non mi fa paura, l’isolamento si.
La pandemia ci ha costretti a contattare l’una e l’altro e a sentirne la differenza nel corpo.
Quando sono sola con me stessa il corpo riposa e il respiro è regolare, quando arriva l’isolamento il respiro mi scoppia nel petto, mi sento sola e assente.
La solitudine è calore sulle spalle, l’isolamento è contrattura alla scapola destra.
L’isolamento arriva insieme ai pensieri e allora è un gran casino.
La solitudine è assenza di pensiero, è spazio da non riempire con niente.
La solitudine è un passo da non forzare, l’isolamento è il tempo da cui fuggire di corsa. E più scappo e più arriva.
La solitudine mi parla di mia nonna vecchia che, seduta sulla sedia davanti al camino, s’immergeva nella sua preghiera quotidiana.
L’isolamento racconta dei sospiri di mia mamma in perenne attesa di un miracolo. Non le ho mai chiesto se alla fine fosse arrivato.
Il ponte per passare dall’isolamento alla solitudine per me si chiama Intimità. È un ponte che spesso è interrotto per lavori in corso.
L’assenza di intimità è mancanza di parole per narrarsi al presente ed avere la possibilità di ascoltarsi fino in fondo, per poterlo raccontare anche a qualcun’altro.
L’intimità viene a mancare se si rompe il contatto; tra la parola e i sensi, tra me e me, tra me e gli altri.
La pandemia ha portato in luce queste continue interruzioni di contatto tra presenza e assenza facendomi oscillare tra isolamento e solitudine.
Come un pendolo mi muovo tra un respiro corto e uno lungo.
Quando il corpo pensa all’oscillazione spesso si irrigidisce; illuso dalla stabilità è necessario ricordargli la storia della flessibilità del giunco, che può piegarsi fino a baciare la terra e poi tornare dritto a vibrare nell’aria, in completa intimità con entrambi gli elementi.
Come un pendolo.
