Che cosa occorre per essere felici? Il denaro? Il successo? L’amore?…
L’arte della felicità non attinge a credenze religiose o verità assolute, ma è la conquista e l’esercizio di una pratica quotidiana, difficile ma possibile: conoscere se stessi, capire le ragioni degli altri, aprirsi al diverso e guardare le cose in modo nuovo.
“Se conserveremo la consapevolezza di possedere il meraviglioso dono dell’intelligenza e se matureremo la volontà di usarlo in maniera positiva, in certo modo avremo la salute mentale di base, ossia la forza fondamentale che proviene dalla coscienza del proprio grande potenziale.”
Tenzin Gyatso, quattordicesimo Dalai Lama e Howard C. Cutler psichiatra americano-L’arte della felicità-
La pandemia ci ha costretti a contattare l’una e l’altro e a sentirne la differenza nel corpo.
Quando sono sola con me stessa il corpo riposa e il respiro è regolare, quando arriva l’isolamento il respiro mi scoppia nel petto, mi sento sola e assente.
La solitudine è calore sulle spalle, l’isolamento è contrattura alla scapola destra.
L’isolamento arriva insieme ai pensieri e allora è un gran casino.
La solitudine è assenza di pensiero, è spazio da non riempire con niente.
La solitudine è un passo da non forzare, l’isolamento è il tempo da cui fuggire di corsa. E più scappo e più arriva.
La solitudine mi parla di mia nonna vecchia che, seduta sulla sedia davanti al camino, s’immergeva nella sua preghiera quotidiana.
L’isolamento racconta dei sospiri di mia mamma in perenne attesa di un miracolo. Non le ho mai chiesto se alla fine fosse arrivato.
Il ponte per passare dall’isolamento alla solitudine per me si chiama Intimità. È un ponte che spesso è interrotto per lavori in corso.
L’assenza di intimità è mancanza di parole per narrarsi al presente ed avere la possibilità di ascoltarsi fino in fondo, per poterlo raccontare anche a qualcun’altro.
L’intimità viene a mancare se si rompe il contatto; tra la parola e i sensi, tra me e me, tra me e gli altri.
La pandemia ha portato in luce queste continue interruzioni di contatto tra presenza e assenza facendomi oscillare tra isolamento e solitudine.
Come un pendolo mi muovo tra un respiro corto e uno lungo.
Quando il corpo pensa all’oscillazione spesso si irrigidisce; illuso dalla stabilità è necessario ricordargli la storia della flessibilità del giunco, che può piegarsi fino a baciare la terra e poi tornare dritto a vibrare nell’aria, in completa intimità con entrambi gli elementi.
Di simboli, parole, numeri che consentono l’accesso ai nostri dati, a porte, passaggi segreti, conoscenze, scrigni magici, cassetti chiusi?
Simboli, parole e numeri che formano una password e che permettono di accedere ai nostri dati sensibili.
Per ogni sistema, una password. Sconsigliato usare sempre la stessa.
Non so se anche a te succede, ma io dimentico spesso le password.
Le domande stimolo di oggi sono: come mai alcune volte dimentichiamo la chiave di accesso ai nostri dati sensibili? Come mai ciò che avrebbe il compito di aprire a volte blocca? Qual è la domanda che possiamo porre a noi stessi per ricordare come accedere ai nostri dati interni?
Ricercare la propria password e non dimenticarla durante la vita è, forse, il vero viaggio dell’eroe…
Credo davvero molto nel valore di fare Counseling come Counseling cioè, come accompagnamento di un processo.
Fare Counseling, infatti, non è fare una Consulenza, ossia il parere tecnico di un esperto che indica i passaggi da fare.
Proprio questo è un aspetto molto importante e complesso che prevede la messa in discussione costante del Counselor, il quale accetta il cliente sapendo di entrare in una relazione reale dove non c’è colui che sa.
Counselor e cliente sono due persone con ruoli e probabilmente con momenti di vita diversi che, insieme, si muovono verso la direzione che indicherà il cliente, con gli strumenti del Counselor.
Al Counselor interessa attivare il processo che condurrà al cambiamento desiderato, non interessa diagnosticare o “soluzionare” e questo rende speciale la relazione che prende forma e dà valore ad ogni incontro. Entrambi impegnano energie e tempo affinche’ la relazione funzioni ed il processo si attivi.
Sono consapevole che la persona che ho davanti sa esattamente di cosa ha bisogno, tuttavia al momento si trova in una “storia bloccata”. Il protagonista non sa più di essere tale e la storia non evolve. Spesso è impiantata nella palude soffocante dei – PERCHÉ?-
Come avviene, cosa avviene e in che modo questo impatta sul quotidiano è il compito di un accompagnamento processuale dialogico che prima di tutto ho sperimentato personalmente.
Come stai? Cosa senti? Cosa vuoi? Dove senti quello che dici? Come ti fa sentire ciò che dici? Cosa lasci? Cosa porti?
Sono solo alcune domande che negli anni di pratica e di formazione hanno creato stupore e passione dentro di me. Hanno creato lo spazio necessario per nuove informazioni.
Mi hanno dato la spinta per continuare quando pensavo di non farcela. Mi hanno dato la “forza del permesso”, di com-prendere che non ero SOLA e soprattutto, SOLO come pensavo ma molto, molto di più. Che ero la protagonista e anche la scrittrice e la finanziatrice della mia storia.
E da qui il concetto di relazione di aiuto, che amo inteso come filosofico e non psicologico.
L’approccio tipicamente filosofico infatti rappresenta, nella relazione di aiuto e di “cura”, un’opportunità unica di esplorazione e di recupero di significati profondi, di senso.
Le mie parole chiavi sono: – presente – presenza – autonomia ‒ salute – consapevolezza ‒ cura ‒ tempo – responsabilità – relazione – empatia – ascolto – benessere – respiro – flusso – processo – crescita – energia – sorriso –
Non so se quello che ho scritto può essere di qualche aiuto. La professione di Counselor da noi in Italia è pressoché sconosciuta ed è proprio un peccato.